imagealt

Ricordo di Don Del Santo


Imperia, 29 ottobre 2020 

E' passato un anno dalla morte di Don Gustavo Del Santo, professore emerito del Liceo Vieusseux e poliedrica personalità del panorama culturale imperiese.

QUI il nostro articolo che ne annunciava la scomparsa.

In attesa che la situazione sanitaria ci permetta di ricordarlo con iniziative più consone, che sono comunque programmate, vogliamo oggi ricordarlo attraverso le voci di alcuni suoi ex studenti.

Ciao Dondi! Resti sempre nei nostri pensieri più belli.

Andrea Romanino - Professore ordinario di Theoretical Particle Physics presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste.

 

Ivan Dalmonte, ingegnere a Milano, ex-allievo di Don Del Santo nella VA del 1978, a nome di tutta la classe

UNA MENTE APERTA

Ho conosciuto Don Del Santo all’inizio della terza Liceo (facendo i conti, dovrebbe essere stato nel 1975: 45 anni fa!), era il nostro nuovo docente di Filosofia. Sapevo già che doveva essere un uomo sopra la media, ed anche la sua materia, di cui non avevo alcuna esperienza, mi incuriosiva molto, per cui avevo grandi aspettative: non furono deluse.

Carismatico

Pochi minuti soltanto, e quell’uomo, piccoletto e mezzo pelato, ma con due occhi magnetici a cui non sfuggiva nulla, si era già preso in mano il gruppo di turbolenti ragazzi di quell’unica classe maschile fra tutte quelle dell’istituto, in cui normalmente l’aria era più da caserma che scolastica. E così fu per tutti i tre anni scolastici che seguirono: dopo qualche minuto iniziale di relax (era spiritosissimo e stava allo scherzo e alle nostre battute, a volte anche grevi, nonostante fosse un prete. Ma era un attento psicologo, e sapeva come interessare e coinvolgere i ragazzi), quando davvero iniziava la lezione non volava più una mosca: chi per interesse, chi per timore (dimostrato quasi unicamente lì…), tutti rispettavano la sua concentrazione in un silenzio assoluto (sapevamo che a casa si preparava le lezioni: studiava anche lui, come noi). E quelle lezioni erano diverse da quelle di qualunque altro professore: anziché la noiosa “Storia della Filosofia” prevista dai programmi ministeriali, lui si calava nei panni del filosofo che in quel momento stava spiegando (anche quando era ben lontano dalle sue posizioni), che quindi pareva rivivere in carne ed ossa, per cui le sue idee risultavano chiare e convincenti. Solo nella lezione successiva, arrivati alle critiche dei suoi successori, sarebbero apparsi i punti deboli di quel pensiero. E poi, citazioni continue (ed azzeccate) anche in latino ed in greco, non tanto per sfoggiare cultura (non ne aveva alcun bisogno) quanto perché, in quel punto del discorso, erano perfette per rinforzare le sue tesi.

Maièuta

Non l’ho mai visto mostrare sufficienza nei confronti di noi studenti: eravamo giovanissimi, irruenti, manichei, ma lui riusciva già ad intravedere gli uomini che prima o poi saremmo diventati e ci trattava già da tali, non con l’annoiata sufficienza spesso riscontrabile nell’adulto che è costretto a trattare con dei bambini. Credo che qualche sua frase fulminante sia riuscita a cambiare il futuro a qualcuno: era un vero Maièuta (termine greco a me sconosciuto, che devo aver imparato proprio da lui), un “allevatore di uomini”, o meglio “orientatore di personalità”.

Poliedrico

Ma ciò che per me rendeva unico Don Del Santo erano i suoi molteplici interessi: oltre ad essere sacerdote e professore, era diplomato al Conservatorio ed un appassionato fotografo. E queste erano le attività che io conoscevo; ma era anche storico locale, confessore e psicologo, direttore della corale che lui stesso aveva fondato e personalità di riferimento della cultura cittadina. Tutte attività in cui eccelleva. E forse ce ne sono altre che ignoro… ma quanti cervelli aveva?

Fulminante

Non ho le competenze per giudicare a pieno il suo valore come insegnante, ma penso fosse notevolissimo (per noi allievi, sicuramente), così come il suo impegno ed il suo esempio. Ricordo però due suoi giudizi fuori dal coro, ripetuti più volte: “Quella serie infinita di voti: … 5+, 5/6, 6- -, 6- …non serve a nulla: dieci valori interi sono già più che sufficienti” (infatti i nostri voti sono sempre e solo stati dati così) e poi l’altro: “Si sa che la soglia di attenzione di un adulto in una lezione non va oltre i 10, 20 minuti al massimo. Insistere oltre? Solo tempo perso.”.

Aperto alle novità

Mi stupivano anche la sua tolleranza, sia verso idee molto diverse dalle sue (era un prete, dopotutto, e allora l’ultrasinistra era molto “di moda”, anche se magari nella sua saggezza aveva già capito che non sarebbe durata) e la sua apertura verso le culture “non classiche”: un po’ di spocchia, da un diplomato al Conservatorio, non mi avrebbe stupito. Invece gli piacevano il jazz, la musica leggera (Mina…), e non rinnegava nemmeno le rivisitazioni (ricordo di avergli fatto ascoltare Keith Emerson di cui, con mia grande sorpresa, aveva apprezzato “il tocco pulitissimo”).

Il paradiso

Qualche volta ho avuto la fortuna di fargli visita a casa sua, in canonica: per me, che allora cercavo di imparare a suonare il piano ed iniziavo ad interessarmi di fotografia, quello era il paradiso. Là regnava quel disordine creativo che solo uno scapolo può concepire: l’ingresso trasformato in un perenne set di posa con cavalletti, schermi, obiettivi, pellicole (ma quanti ritratti avrà fatto in vita sua?), in un salottino un pianoforte a coda (un po’ sacrificato in un angolo: mi sono spesso chiesto come avesse fatto a farcelo arrivare), centinaia di dischi e l’impianto stereo, un’altra saletta dedicata a camera oscura, con ingranditori e misteriosi liquidi di sviluppo (la sua passione, non resisteva a citarci le dosi segrete di reagenti per “tirare le pellicole”, a noi che non sapevamo nulla di quelle pratiche alchemiche). E poi libri, dovunque e di ogni materia: ma non certo quelli sfoggiati come complementi d’arredo perché facciano “cultura”. I suoi erano vissuti: studiati, sgualciti, aperti sulle sedie, sui tavoli… veri “ferri del mestiere”, sempre caldi.

Quella frase

Per chiudere, ricordo ancora dopo più di 40 anni una sua frase lapidaria pronunciata in una lezione: “A me è presente il Tutto”, che mi aveva colpito perché mi sembrava una perfetta definizione di Dio. Ho dimenticato di chi fosse: ho chiesto al suo degno sostituto attuale, allora nel banco dietro di me, che ha azzardato un “Hegel, forse?”. Però ho cercato anch’io nell’onnisciente internet, e non si trova nulla di simile: sarà mica stata… sua? Non lo saprò mai, purtroppo.

 

RICORDO DELLA PROFESSORESSA SUSANNA CALLIERO, prima allieva e poi collega di Don Del Santo

“Posso fare qualcosa per te?”

 “Sì, fammi camminare”.

Era il nostro ultimo incontro.

Ho abbozzato un sorriso all’ironia di sempre, ma ti costava sforzo ogni parola flebile e me ne sono andata con un cattivo presagio.

Chissà dove sei o non sei. Se adesso cammini oppure no. Chissà se hai ripreso a confessare, come avresti voluto, o a regalare sapere, come facevi dovunque ti trovassi, soprattutto a scuola, quando spiegavi per gli ultimi della classe, perché “è troppo facile insegnare ai primi”.

Forse in un oltre mondo echeggia la tua risata omerica, perché, sì, abbiamo tanto riso, fino alle lacrime, in questi tanti anni, più di mezzo secolo, che mi hanno avvicinato a te, prima come allieva, e poi come collega.

Abbiamo ancora riso a Betlemme, la casa di riposo, quando ti venivo a trovare e ripescavamo dal baule impolverato dei ricordi tanti aneddoti che, se adesso riferiti agli altri, non dicono niente, ma per noi erano motivo di un’ilarità gioiosa.

Perché – a dirlo adesso sembra così strano – si rideva al Liceo (ricordi la risata irresistibile di Nino?), ed erano risate benevole, che non risparmiavano nessuno e non facevano male a nessuno.

Adesso molti dei colleghi di cui parlavamo sono di là con te, quelli che hanno dato vita e respiro al “mitico” Liceo Vieusseux dell’altro secolo, che hanno dato il loro piccolo contributo di conoscenza e di umanità a formare la cultura di quegli splendidi allievi che, sparsi per il mondo, sono l’orgoglio della nostra Scuola e della nostra città.

Alla mente mi si affacciano i volti di chi non c’è più, potrei elencarli ma li tengo per me, tu ed io li conoscevamo e ci univano.

Ogni volta che venivo a Betlemme avrei voluto ringraziarti per quello che hai fatto per me, per mio padre e per mia figlia, ma non lo facevo perché sapeva di commiato ed io volevo congedarmi con un arrivederci.

Ti ringrazio adesso per tutti gli insegnamenti che mi hai trasmesso, tra tutti il più importante, il più “ligure” dei precetti: imparare a scendere per il percorso della vita con dignità, “senza sceneggiate”.

Grazie di tutto, Don Di.

 

 

Ricordo della professoressa Susanna Calliero.pdf
Una Mente aperta.docx